sabato 18 aprile 2009

Sfidanti di spade

E' entrata furtivamente mentre io ero distratto si è rannicchiata all'ombra prima di lasciarsi scoprire. Erano le sue mani che scivolano nei miei pantaloni e lei comandava quelle come fosse alla guida di un taxi, sapeva dove volevo arrivare. Si è lasciata accomodare su un rosso velluto che si trovava lì per caso, morbido spugna ha accolto le sue terga e come fiato al collo me la sono ritrovata con quello sulla cinta dei pantaloni. Aveva lo sguardo sospeso e si immaginava la scoperta che era lì dal divenire. Le sue indagatrici mani mi prendevano in ogni punto al millimetro come a disegnarne la linea dopo. Aveva i capelli nocciola ed erano fili precisi tagliati uno ad uno trattati con cura maniacale, avevo la precisione del suo viso al mio cospetto e mi sentivo improvvisato sulla scena di un film estero. Questa donna era tutta in me e non la sentivo ancora, mi aveva rapito, prigioniero del suo desiderio. La immaginavo puntellarsi con rossetto e cipria il viso, le donne di una volta che non avevano "u russ" usavano pungersi le labbra con un ago per farle apparire più rosse. E tu che racchiudi quel sangue sei stata la primavera quando mi hai avvicinato il tuo fiore. Aveva la bocca aperta, quella bocca aperta che sembra parlare senza suoni, che sembra chiamare senza voce, che sembra la bocca di una che pompa. Una che pompa, che succhia, che si ricerca in nuove forme, nuove prese, che cerca di essere il nuovo modello immaginario nel suo avversario che sconfigge ogni volta che arriva a destinazione. Durante il percorso la pompinara si appassiona nel succhiare, pare che stia pomiciando con un altro uomo, pare che stia pomiciando con un'altra cosa e questa non mi appartiene. Il suo sguardo pieno guarda in alto a cercare il mio consenso, a cercare il mio occhio chiuso, a cercare il mio sguardo piaciuto. C'è un momento in cui ella vorrebbe comandarmi al punto di ordinarmi il divenire e io sebbene non sia siamese riesco ad avvertire quel comando. Mi lancia il segnale e mi dice di venire. Vieni comunque, vieni dove vuoi, ma vieni. Il comando è terribile, è orribile perchè io vorrei ancora e ancora giocare, guardarmela suggere e sentirmi padrone di quella testa e quella mano che sono sotto di me, ma non mi accorgo che è solo un gioco, pretendo. Spingo quella testa con forza affogando la sua gola col mio pezzo e sento un rumore, tossisce. Ho spezzato quella catena, devo ricucire. Succhia, succhialo. Mi lascio esclamare a mezzo volume, la sfida è ancora aperta.
Sciocco verrò a cadere sotto i suoi piedi. Come in un copione, copioso mi perderò in gocce bianche non latte e trasparenze, non avrò ancora trafitto il suo corpo tra le gambe, non avrò, ma io avrò perso. Seme.

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Illuminami d'immenso